19 maggio, 2012

Si muore una volta sola

"Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola"


Questa è la premessa. La premessa è agghiacciante. Hanno colpito ancora e lo hanno fatto nel silenzio. A Brindisi la giornata era come tante altre, era una giornata normale. L'istituto Morvillo-Falcone da oggi non sarà più lo stesso. Non lo sarà più per l'Italia e nemmeno per noi italiani. Il dovere dello Stato è tutelare i propri cittadini e non fare compromessi con gli stati maggiori delle Mafie, eppure così non sembra. Oggi è un giorno diverso. Venti anni fa morivano le due icone, simboli della legalità in Italia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Con loro morivano anche i loro angeli. A vent'anni esistono ancora migliaia di persone che portano avanti il loro ideale di Stato e di civiltà, di etica e di legalità. Sono migliaia di ragazzi che siedono quotidianamente nei banchi di scuola e che imparano, attraverso lo sguardo sulle altre civiltà, ad essere migliori dei loro padri e madri. Chissà se dentro a quella scuola non ci siano stati anche i figli di famiglie che prendono parte alle "riunioni di famiglie". Chissà...se la giornata di oggi ci potesse fare il dono di tornare indietro nel tempo e mostrare le facce di tutte quelle persone che hanno pianificato l'attentato. O la faccia di colui che ha attivato il pulsante per far saltare in aria quel cassonetto dell'immondizia.
Chissà...chissà che avrebbe detto Johannes Paulus II vedendo queste immagini. In Vaticano mandano soltanto comunicati freddi, letti da una sala stampa, addobbata per tutte le occasioni allo stesso modo. I volti simbolo hanno tutti usato parole scomode, come sono scomode le persone che li hanno seguiti e li seguono tutt'ora. Meglio morire da scomodo che vivere da coniglio, come fanno quotidianamente quei 600/700 vigliacchi che aleggiano nelle aule di Roma, e fanno compromessi con le Mafie. Al liceo ci hanno insegnato il valore dell'etica e la sua importanza ed ora invece la vediamo vacillare, con uno stato colluso e corrotto. Napolitano non dovrebbe nemmeno parlare, visto che nell'agenda rossa è presente anche il suo di nome...
Per tutti quelli che pensano che Falcone e Borsellino siano morti non sanno che loro vivono ancora. Vivono nella democrazia e vivono nelle migliaia di persone che tirano fuori i Coglioni quotidianamente e dicono che la mafia è il tumore della nostra costituzione.

06 aprile, 2012

Il mio volto


Sono dei giorni strani...molto strani. I ricordi sembrano ricoprire la mia mente della stesse cenere e polvere, respirata tre anni fa. L'Aquila. Le tendopoli si stendevano in lungo e in largo lungo tutta la città, come sempre accade quando c'è un disastro di quelle proporzioni.


Tre anni fa incominciava anche il mio viaggio. Incominciava da delle stupide chiacchierate in chat e proseguiva con notti passate insonne. Un po' come sta succedendo adesso. I giorni antecedenti al mio compleanno sono giorni che mi rendono apatico, mi infastidiscono quasi, come se il mio mondo non appartenesse a questa sede.
Io mi sento come l'Aquila...sempre in volo. Cambio zona quando sono stufo di sentire le parole stuprate delle menti malate di qualche infelice. Io sono uno zingaro. Nomande e felice di esserlo. Non dico mai "addio", ma solo e soltanto "arrivederci" a mai più. Lo dico anche a quelle persone che mi hanno accompagnato anche solo per un pezzetto...per quanto piccolo è sempre un gran bel camminare.


Mancano quattro giorni al mio compleanno...quattro giorni costituiti da tante rovine e da altrettante meraviglie. Non sono laureato in archittetura, ma il progetto più bello è sempre quello che devo ancora incominciare. Ci sono tante persone che ancora potranno essere interessate a questi progetti che come fulmini e tempeste si scagliano su di noi ormai troppo stanchi. Stanchi di guardarci alle spalle da tutto e tutti, stanchi di voltare il viso all'insù per chiedere a Dio se esiste il bene e perchè esiste il male. Nell'arte abbiamo sempre cercato di rappresentare il bene e il male e non ci siamo mai riusciti a fotografarli con esattezza.


Di fronte ad una nuova vita, infatti, ci sentiamo entusiasti come se stessimo disegnando un mondo con nuovi impulsi e nuovi desideri. Ben presto, però, scopriamo che tutto il nostro camminare non è servito a niente e il nostro giungere da qualche parte servirà ancora a meno. L'impulso del mondo...è il mio cuore. L'idea del mondo...quella che devo ancora pensare. Non c'è razionalità, non c'è ragione in quello che sto dicendo.


Sono le sette mezza. Il diluvio su Torino sta per terminare.
Molte riflessioni sono nate dal rumore della grandine e dei tuoni.
Oggi....venerdì santo. Secondo giorno del triduo pasquale.
"Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra."
Queste parole sono parole sacro-sante e per questo alla fine di questa riflessione le ho volute inserire, come preghiera alle molte persone che ancora devono trovare la loro strada, che devono trovare il loro cammino e devono ancora trovare il loro tesoro.
Buona Resurrezione a tutti!

23 marzo, 2012

Il fiume


Sono davanti al fiume...lo vedo scorrere nel suo letto, illuminato da un breve istante dalla luce del sole. Un miracolo. Tante considerazioni mi affiorarono alla mente sul valore del fiume che...comincio da una cotastazione. Fa freddo. Il sole arriva per miracolo a scaldare i suoi abitanti. Ma la nostra vita cos'è se non questo fiume?? Dal Nilo al Po, dal Tamigi al Danubio...il fiume è vita, la nostra vita. Noi come onde camminiamo per lambire o scoprire mondi che ancora non siamo in grado di conoscere e come il fiume ci facciamo casa e diamo da mangiare ai nostri figli. Ancora di più per loro diventiamo la culla e rifugio, sebbene non smettiamo di camminare. Ad un certo punto gli insegneremo a essere a loro volta fiume, fino ad arrivare ad essere una foce che si getta nel grande mare, che è la vita. E noi come onde ci infrangeremo su sponde inesplorate, poiché il nostro percorso "vitale" è terminato.

16 marzo, 2012

Il dilemma della Sclerosi

Ieri sera guardando le Iene, (noto programma di Italia 1) mi sono venute in mente tante riflessioni guardando un filmato che hanno mandato in onda sui malati di sclerosi multipla. Condivido appieno il pensiero di queste persone, ignorate dal mondo... fino a quando non si necessita delle stesse cure.  Per avere le cure necessarie sono dovute andare all'estero e a pagamento per avere accesso alla cura del professore del metodo sperimentale Zamboni. Secondo questo professore la sclerosi porta ad avere un altro problema all'interno delle vene. Il sangue non deambulerebbe a causa di vene otturate. Il metodo non farebbe passare la sclerosi, ma può migliorare certamente la qualità della vita. Ma questo in Italia non è permesso. Fino ad oggi non è permesso...eppure provano solo la ricerca verso i medicinali e non della ricerca di questo dottore. Questa è davvero l'Italia?

11 marzo, 2012

La sottile linea fra paura e coraggio

Dal Red Badge di Stephen Crane alla Red Line di Terrence Malick

L’opera che è al centro della produzione di Stephen Crane, l’esempio più importante della sua visione ironica della vita, è senza dubbio Il segno rosso del coraggio. Scritto trent'anni dopo la guerra civile americana, nel 1895, rimane il libro più valido, più autentico fra tutti quelli che hanno avuto per argomento quel conflitto. Per avere un’idea di ciò che Crane riuscì a costruire e fissare, da artista consapevole ed attento quale era, si pensi a un giovane nato nel 1951 che ci dia oggi il miglior romanzo sulla Resistenza. Quali sono i valori intrinseci che hanno fatto lodare questo racconto fin dal suo primo apparire? Perché ancora noi moderni lo leggiamo con interesse e con diletto, lo sentiamo vero, vi ritroviamo espressa la sostanza fisica e spirituale di cui è fatta la vita? Su The Red Badge si sono accumulati strati di critica, specialmente in questi ultimi anni, per coglierne l’essenza, il significato reale, per indicare l’arte dello scrittore. Gli inglesi vi riconobbero subito il capolavoro di un autore geniale. George Wyndham scrisse che “Mr. Crane ha certamente creato un capolavoro”; Edward Garnett scrisse “nella sua arte è straordinario… egli è l’artista e l’interprete perfetto di ciò che affiora della vita.” Joseph Conrad, molti anni dopo commentò analizzandone i meriti: “Quanto a capolavoro non c’è dubbio che The Red Badge lo è.” H.G. Wells esaltò la novità dell’arte di Crane, come quella che aveva saputo fare “enormi ripulse… è come se pensiero e tradizione della razza fossero stati cancellati dalla sua mente… egli per primo esprime una mente che si apre a un nuovo periodo.” Capolavoro è rimasto per tutti quelli che l’hanno letto non frettolosamente, che non si sono fermati alla vicenda o avventura che sia. La trama può anche dare l’idea di una banale storia a lieto fine. Il giovane contadino Henry Fleming si arruola nell'esercito, si preoccupa perché non sa se si comporterà da eroe o da vigliacco, si impegna un momento nella battaglia e poi scappa. Pieno di vergogna e di imbarazzo vaga qua e là e gli capita di assistere alla morte straziante di un compagno, Jim Conklin. Dopo aver lui stesso ricevuto una ferita alla testa da un compagno in fuga, ritrova il suo reggimento, torna a combattere, e in prima fila, reggendo la bandiera, guida i suoi compagni all'assalto. Cercando a questo punto di precisare qual è il tema del libro ci soccorrono dapprima due definizioni dello stesso Crane: “È un semplice episodio di vita, una amplificazione”; “è un ritratto psicologico della paura”, cioè il ritratto del protagonista, con le sue illusioni e sogni, ad una maturità che ha ormai accettato il reale. Storia di un’iniziazione quindi; e c’è subito chi ha pensato ad una quest, cerca una chiave religiosa, della salvezza, o una ricerca mitica del giovane guerriero che va verso il mostro rosso, la Guerra. Così lo sviluppo morale di Henry seguirebbe i moduli della fuga e del ritorno; Henry viene redento dalla morte del compagno Jim Conklin, 'il soldato alto', le cui ferite, la statura e persino le iniziali del nome ricordano Gesù Cristo. Di questo avviso è anche il regista Terrence Malick avendolo portato alla fama del pubblico con un film, tratto proprio da questo libro. La guerra, infatti, viene usata come morte fisica dell’uomo, ma da sempre contrapposta alla rinascita spirituale. L’invocazione d’aiuto e accolta dalla natura circostante e dalla stessa natura dell’uomo, in un poema che per molti versi è stato considerato triste. Si può, dunque, essere d’accordo nel vedere il tema del libro come bivalente: da una parte il rapporto tra coscienza del protagonista e la realtà, dall'altra l’iniziazione di un adolescente alla vita. Lo stesso protagonista muove dal sogno o illusione che gli presenta guerre e battaglie in una luce romantica. Il sogno però non è realtà. La guerra non è niente di nobile, di grande, di favoloso. È sudore, sangue dolore; è sudiciume e squallore. Henry passa attraverso questa dura esperienza, scopre e riconosce la realtà e attraverso il sangue e la morte conquista la vittoria su se stesso ed emerge più ricco interiormente, più maturo. Ha avvertito un vincolo di fratellanza che lo lega ai suoi compagni, è consapevole di non essere più adolescente. Il segno rosso del coraggio è quindi la storia di una esperienza morale; ma è anche un libro sulla guerra. Se messo a confronto con Stendhal (La Certosa di Parma) o Tolstoij (Guerra e Pace) sembra povero, scarno e difettoso. La guerra civile non è mai nominata, non si parla delle cause, della tattica, o della strategia, o dell’arte militare. Non vengono discusse idee, non c’è filosofia espressa che sottende agli avvenimenti. La guerra è descritta soltanto attraverso gli occhi di una giovane recluta. Eppure la presentazione della guerra è vivida, verosimile nella scelta dei particolari. C’è tutto della guerra: le attese snervanti, le ansie, le voci allarmistiche che si diffondono rapidamente, le incomprensioni, il risentimento verso gli ufficiali, la fatica, il panico, la rabbia, e l’odio contro il nemico. E allora perché il regista della Sottile linea rossa rimane affascinato da questo romanzo così superficiale? Terrence Malick è rimasto molto colpito dalla storia che tende ad essere emblematica, puntando all'universale riesce a porsi su un piano di universalità. Già abbiamo visto che Crane scelse una fetta di un tutto, un solo episodio di una guerra lunga, sanguinosa e motivata da ragioni gravi, umanitarie ed economiche. Si soffermò di più sui dettagli. Il sentimento del protagonista, la paura di non sapere affrontare la prova del fuoco, è un sentimento comune, che può trovarsi in ognuno di noi. Lo svolgimento della scena è nella mente di una sola persona che pur immaginando guerre e battaglie, riflette sull'onore personale e l’isolamento di fronte all'indifferenza della natura. Ogni cosa passa attraverso lo sguardo del protagonista. C’è una caratteristica che ha fatto sì che questo romanzo divenisse una pellicola cinematografica. L’uso che Crane fa dei colori è quello tipico degli impressionisti. L’impressionismo è il procedimento che meglio serve allo scrittore per farci soprattutto vedere, e toccare e udire, ma anche per giungere all'essenza della realtà, che è poi la sostanza della verità.


sm